Onorevoli Colleghi! - La proposta di legge di seguito illustrata si pone lo scopo precipuo di dare una risposta concreta alle problematiche legate alla condizione delle detenute madri con figli minori. In particolare, si è partiti dall'esame della legge n. 40 del 2001, nota con il nome dell'onorevole Finocchiaro, che, seppure di portata innovativa, di fatto ha avuto scarsissima applicazione. Si è, infatti, potuto constatare che le norme, come congegnate, hanno tagliato fuori un numero di detenute numericamente rilevante, lasciando la situazione del tutto inalterata.
      Per questo motivo l'articolo 1 della proposta di legge incide sulla normativa già novellata dalla «legge Finocchiaro», togliendo quel vincolo («concreto pericolo della commissione di delitti») di cui all'articolo 147 del codice penale che rende di difficile applicazione il rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena. Infatti, spesso la detenuta madre tipo è una donna proveniente da ceti molto poveri o comunque immersa in una cultura di microcriminalità che ha, seppure giovane, nel suo curriculum più di una condanna penale. Impedire concretamente a una grande maggioranza di madri la possibilità di vivere la propria maternità fuori dalle mura degli istituti penitenziari significa, da una parte, ostacolare un processo di riabilitazione per la donna e, dall'altra, opporsi a che i bambini vivano la loro età in un ambiente sicuramente più confortevole rispetto a quello carcerario e più idoneo per la loro crescita psico-fisica.

 

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Conseguente a tale scelta è l'articolo 4 della proposta di legge, recante modifiche agli articoli 47-ter e 47-quinquies della legge sull'ordinamento penitenziario, legge n. 354 del 1975, che si prefigge di eliminare gli ostacoli che impediscono la possibilità alle donne madri, per le ragioni esposte, di espiare la propria pena o presso il proprio domicilio o in altro luogo.
      Come detto, però, la «legge Finocchiaro» è stata solo il punto di partenza: partendo dall'esame della realtà carceraria si sono volute poi affrontare problematiche nuove.
      Il punto centrale della proposta di legge è sicuramente rappresentato dalla ideazione e dalla realizzazione di case-famiglia protette. Infatti, tanto in caso di custodia cautelare (articolo 2) che nell'ipotesi di espiazione della pena (articolo 5) ci si rende conto che, laddove non possa essere disposta per vincoli di carattere giuridico una forma di detenzione più favorevole per la madre e per il figlio, non si può lasciare crescere un bimbo piccolo in una struttura che per natura è più orientata a dare una risposta puntuale a esigenze di sicurezza che a prestare attenzione alla crescita del minore. Con questa proposta di legge si intendono creare, pertanto, delle strutture che, a fianco della sicurezza, prendano in esame anche le necessità dei bambini e che ne garantiscano un sano sviluppo (articolo 5). Si vuole inserire tanto nel codice penale quanto nell'ordinamento penitenziario un nuovo modo di regolare il regime detentivo della donna madre con figlio che, seppure sempre considerato quale extrema ratio, sia più «umano».
      In questa logica si iscrive anche la necessità di garantire alla madre detenuta di poter accompagnare il figlio qualora questo abbia l'esigenza di essere portato al pronto soccorso o in caso di ricovero (articolo 3): è inimmaginabile pensare che un bambino piccolo possa «affrontare» da solo un ospedale ed essere, di fatto, abbandonato a se stesso.
      Da ultimo, l'articolo 6 propone norme volte ad incidere fermamente sul testo unico in materia di immigrazione, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 (come modificato dalla legge n. 189 del 2002, cosiddetta «Bossi-Fini»): è ormai evidente a chi opera nel settore che vi è una sorta di automatismo del decreto di espulsione. Molti giudici ormai emanano questo provvedimento unitamente alla pena detentiva oppure esso viene emesso al termine dell'espiazione della pena. Nell'uno e nell'altro caso non si tiene in alcun modo conto di un eventuale percorso di risocializzazione estremamente positivo compiuto dal detenuto; della possibilità di collocare al lavoro lo straniero detenuto a fine pena o anche, semplicemente, se si tratta di detenute madri, che i loro bambini, nati in carcere o comunque che hanno trascorso nell'istituto gran parte della loro breve vita, conoscono solo la lingua e la cultura italiane. Si vuole pertanto ovviare a tutto questo prevedendo una valutazione ad personam sulla realtà al momento del termine della espiazione della pena, ma al contempo si vuole riconoscere la possibilità di avviare l'iter per l'ottenimento del permesso di soggiorno, al momento del verificarsi delle condizioni necessarie, anche dalle mura del carcere.
      Infine, per garantire l'unità familiare, principio riconosciuto non solo nella nostra Costituzione ma affermato anche da disposizioni di trattati internazionali - quali gli articoli 8 e 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848; l'articolo 23 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966, reso esecutivo dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881; gli articoli 9 e 10 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176 - si vuole con la presente proposta di legge prevedere un permesso di soggiorno per i figli stranieri di detenute in Italia per poter ottenere il ricongiungimento e poter assicurare la continuità nella formazione psico-fisica del minore.
 

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